La piccola lavagna

Storielle stravaganti di un eccentrico santostefanese

Storie stravaganti di Stefano Busonero
Storie stravaganti di Stefano Busonero

La piccola lavagna

1951, periodo natalizio

Non avevo ancora compiuto cinque anni di età quando ebbi una terribile apparizione. Mia madre mi aveva regalato una piccola lavagna e passavo ore ed ore a fare dei disegni con il gessetto bianco, divertendomi anche a cancellarli. Dato che in quel periodo ero abbastanza tranquillo, mamma, ben consapevole che poteva lasciarmi solo in casa – le mie sorelle Imperia e Emilia erano a scuola – usciva ogni mattina per fare la spesa. Ero cosciente di trovarmi solo nel nostro appartamento e pensavo di esserlo anche quel fatidico giorno, ma sbagliavo, perché erano iniziate le vacanze di Natale e le mie sorelle non erano andate a scuola. Quella mattina ero talmente concentrato nell’arte creativa del disegno che non riuscivo a pensare a nient’altro.

Stavo in piedi davanti al tavolo da cucina su cui avevo appoggiato la lavagnetta e mi divertivo a scarabocchiare qualcosa, quando all’improvviso ebbi un sussulto, sentendo una strana presenza dietro le mie spalle. Mi girai e mi si gelò il sangue nelle vene: un uomo, grossi baffi bianchi, con in capo un turbante e vestito da straccione si stava dirigendo verso di me, con uno sguardo cattivo. Incominciai a tremare come una foglia, volevo gridare, ma la voce non usciva dalla bocca, volevo fuggire, ma le forze mi mancavano! Allora mi vennero in mente alcune parole che avevo sentito dire sugli zingari e sul sapone.

Stefanino, quando vedi gli zingari allontanati da loro perché si portano via i bambini e li mandano a chiedere l’elemosina e poi, se non guadagnano niente, li squagliano e ci fanno il sapone!”

La porta d’uscita si trovava alle spalle di quell’essere immondo e avrei dovuto perciò passargli davanti per raggiungerla. Senza ulteriori ripensamenti decisi allora di entrare nella stanza adiacente, la camera da letto – di tutti noi bambini – che aveva l’entrata subito a portata di mano (di piede, direi!), ma quando vi entrai, mi resi conto di essere irrimediabilmente caduto in trappola. Non c’era alcuna via di scampo! Ricordo benissimo quelle tremende sensazioni e che stringevo forte con le mani quella lavagnetta, che mi premeva come la mia stessa vita.

Forse quel lettone è la mia salvezza” pensai e mi infilai di scatto sotto di esso.

Quell’omaccione incominciò a girare intorno al letto e quando raggiungeva la parete a cui era appoggiata la spalliera, invertiva il senso. Sentivo il freddo del pavimento che mi penetrava dentro le ossa e, non sapendo cosa altro fare, seguii l’unica idea stramba che mi era venuta in mente, mi staccai dal pavimento e mi tenni con le mani aggrappato ai ferri intermedi di sostegno:

Ecco, ora, se lo zingaro guarda sotto il letto e non mi vede, se ne va!”

Non avevo risolto un bel niente perché il “fabbricante di sapone” e “scioglitore di bambini” batteva grossi colpi sul materasso. Quando il panico prevalse su tutto e la mia mente era ormai in balia del caos più profondo, lo sentii prendermi la mano che teneva stretta la lavagna e percepii la forza dell’uomo che mi stava tirando fuori da quella scomoda posizione. La mano del fabbricante di sapone lasciò poi la mia manina, ma rimase afferrata a quell’oggetto a me tanto prezioso. Sentivo che non sarei riuscito a trattenerlo, ma continuavo a stringerlo con tutte le mie forze, tanto da venire trascinato con tutto il mio corpo. Fu in quel momento che mi venne in mente un’altra idea bizzarra.

Se gli lascio prendere la lavagnetta quel tipo se ne andrà” pensai.

La pensata strampalata fu invece la salvezza: l’uomo ottenne ciò che voleva e se ne andò.

Sarei stato sotto il letto per un’intera giornata se non fosse venuta Imperia ad assicurarmi che in casa non c’era nessuno. Mia sorella mi tranquillizzò facendomi capire che l’uomo entrato in casa non era uno zingaro, bensì Babbo Natale che entrava nelle case per togliere i regali ai bambini che non li meritavano.

«Stai tranquillo» mi diceva. «Babbo Natale non fa del male a nessuno, né tanto meno ai bambini!»

Queste parole mi rassicurarono, così uscii di casa per raccontare la mia storia a mamma. La trovai nella bottega di Ardita e, nonostante la mia calma apparente, mi vide alquanto sconvolto … … …

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