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Testo e accordi di Il testamento di Tito

STEFANO BUSONERO IL PITTORE CHE NON VUOLE VENDERE I SUOI QUADRI

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Informazioni sul Testamento di Tito

Il Testamento di Tito è una famosa canzone appartenente al concept album (un album dove ogni brano ruota attorno uno specifico fulcro tematico, sviluppando una storia, una formula che di sovente appare soprattutto nel genere rock) di Fabrizio De Andrè intitolato “La buona Novella”.

La canzone in esame, il cui contenuto è stato tratto – come in ogni altro brano dell’album – da alcuni Vangeli apocrifi, è l’unica ad essere stata musicata in collaborazione con un altro musicista (Corrado Castellari).

“La Buona novella”, pubblicata nel 1970, corrisponde in ordine cronologico al quarto album del noto cantautore.

“Il testamento di Tito” elenca i dieci comandamenti, configurati sotto un inedito aspetto: quello visto – per l’appunto – da Tito (Disma), uno dei due ladroni che vennero crocifissi insieme a Gesù. Tito è quello pentito, cioè il “ladrone buono”, e Dimaco (Gesta) è quello cattivo.

Per quanto riguarda la parte musicale del brano, il primo verso inizia con la melodia vocale e leggeri colpi di accordi di chitarra, quindi un continuo crescendo del numero di strumenti in gioco fino all’ultimo verso.

In relazione a testo e accordi di Il testamento di Tito, se non sapete fare gli accordi potete decidere di iniziare un corso di lezioni di chitarra.

Il testo de Il testamento di Tito

Sotto è riportato il testo integrale della canzone:

“Non avrai altro Dio all’infuori di me,

spesso mi ha fatto pensare:

genti diverse venute dall’est

dicevan che in fondo era uguale.

Credevano a un altro diverso da te

e non mi hanno fatto del male.

Credevano a un altro diverso da te

e non mi hanno fatto del male.

Non nominare il nome di Dio, non nominarlo invano.

Con un coltello piantato nel fianco

gridai la mia pena e il suo nome:

ma forse era stanco, forse troppo occupato,

e non ascoltò il mio dolore.

Ma forse era stanco, forse troppo lontano,

davvero lo nominai invano.

Onora il padre, onora la madre

e onora anche il loro bastone,

bacia la mano che ruppe il tuo naso

perché le chiedevi un boccone:

quando a mio padre si fermò il cuore

non ho provato dolore.

Quanto a mio padre si fermò il cuore

non ho provato dolore.

Ricorda di santificare le feste.

Facile per noi ladroni

 entrare nei templi che rigurgitan salmi

di schiavi e dei loro padroni

senza finire legati agli altari

sgozzati come animali.

Senza finire legati agli altari

sgozzati come animali.

Il quinto dice non devi rubare

e forse io l’ho rispettato

vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie

di quelli che avevan rubato:

ma io, senza legge, rubai in nome mio,

quegli altri nel nome di Dio.

Ma io, senza legge, rubai in nome mio,

quegli altri nel nome di Dio.

Non commettere atti che non siano puri

cioè non disperdere il seme.

Feconda una donna ogni volta che l’ami

così sarai uomo di fede:

Poi la voglia svanisce e il figlio rimane

e tanti ne uccide la fame.

Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore:

ma non ho creato dolore.

Il settimo dice non ammazzare

se del cielo vuoi essere degno.

Guardatela oggi, questa legge di Dio,

tre volte inchiodata nel legno:

guardate la fine di quel nazzareno

e un ladro non muore di meno.

Guardate la fine di quel nazzareno

e un ladro non muore di meno.

Non dire falsa testimonianza

e aiutali a uccidere un uomo.

Lo sanno a memoria il diritto divino,

e scordano sempre il perdono:

ho spergiurato su Dio e sul mio onore

e no, non ne provo dolore.

Ho spergiurato su Dio e sul mio onore

e no, non ne provo dolore.

Non desiderare la roba degli altri

non desiderarne la sposa.

Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi

che hanno una donna e qualcosa:

nei letti degli altri già caldi d’amore

non ho provato dolore.

L’invidia di ieri non è già finita:

stasera vi invidio la vita.

Ma adesso che viene la sera ed il buio

mi toglie il dolore dagli occhi

e scivola il sole al di là delle dune

a violentare altre notti:

io nel vedere quest’uomo che muore,

madre, io provo dolore.

Nella pietà che non cede al rancore,

madre, ho imparato l’amore”.

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